Sulla mia pelle di Alessio Cremonini è il film d’apertura della sezione Orizzonti in concorso alla 75ª Mostra del Cinema di Venezia. Racconta gli ultimi sette giorni di vita di Stefano Cucchi, interpretato da uno strepitoso Alessandro Borghi. Un film necessario, da vedere.
I fatti di cronaca
Sulla mia pelle – gli ultimi sette giorni di Stefano Cucchi racconta uno degli episodi di cronaca giudiziaria più incredibili e violenti degli ultimi anni. La storia della devastante via crucis di un ragazzo romano di 31 anni, arrestato dai carabinieri il 15 ottobre 2009 perché trovato in possesso di pochi grammi di hashish e di cocaina. Processato il giorno dopo per direttissima, si presenta davanti al giudice con evidenti traumi ed ematomi agli occhi, procurati a suo dire da una fantomatica “caduta dalle scale” (dopo essere stato evidentemente picchiato e minacciato se avesse rivelato la verità), in tribunale dove abbraccia per l’ultima volta il padre. Dopo una settimana trascorsa tra carcere e ospedali (Regina Coeli, Fatebenefratelli, Pertini) rimbalzato da medici, carabinieri e polizia penitenziaria, la sua morte avvenuta il 22 ottobre viene notificata freddamente a domicilio da un ufficiale giudiziario accompagnato da un carabiniere alla famiglia, che per assurdi intoppi burocratici non era riuscita neppure ad incontrarlo quando negli ultimi giorni era ricoverato all’ospedale Pertini. I genitori e la sorella riusciranno a rivederlo solo all’obitorio, dove verranno scattate le foto che lo hanno reso famoso e che daranno il via alle indagini sulla sua morte che non si sono ancora concluse.
La famiglia Cucchi
Stefano è cresciuto a Torpignattara, in una normale famiglia di onesti lavoratori: il padre Giovanni geometra (interpretato da Max Tortora, nel ruolo forse più insolito e drammatico della sua carriera, mai sopra le righe né tantomeno comico o spiritoso come al suo solito), con cui lavora lo stesso Stefano (geometra come lui), la sorella maggiore Ilaria amministratrice di condominio con due figli piccoli (la bravissima Jasmine Trinca entra perfettamente nel ruolo e coglie anche il lato protettivo e nascosto della sorella, che riesce anche ad essere severa quando occorre) e la madre Rita (Milvia Marigliano, insegnante in pensione). Stefano stava cercando di cambiare vita dopo un periodo difficile in cui aveva cercato di disintossicarsi (era stato in comunità e il padre ce lo avrebbe voluto riportare quando sarebbe uscito dal carcere), faceva anche boxe (nei giorni dell’arresto si stava allenando, quindi era in buone condizioni fisiche, pur pesando solo 43 chili) e aveva anche una certa fede in Dio. Quando in carcere gli chiedono se crede lui risponde che è uno che “spera”. Stefano non viveva più stabilmente con la famiglia (che gli aveva preso una casa dove poteva stare per conto suo e dove saranno rinvenute altre quantità di droga dalla famiglia stessa, e prontamente denunciate). Ogni tanto passava ancora a trovare i genitori e la sorella Ilaria a cui amava fare anche degli scherzi e delle sorprese affettuose per i nipotini Valerio e Giulia.
L’evoluzione di Borghi da Caligari a Cremonini
Lanciato dal film Non essere cattivo di Claudio Caligari, presentato postumo proprio a Venezia nel 2015, e dopo la partecipazione in Suburra di Stefano Sollima (per entrambi i ruoli ottiene la candidatura come miglior attore rispettivamente protagonista e non protagonista al David di Donatello e nel 2016 vince il Nastro d’Argento come attore rivelazione), con questo film Alessandro Borghi dimostra una volta di più di essere uno degli attori migliori del cinema italiano. Il corpo dolente e il volto scavato e sofferente di Stefano Cucchi viene interpretato da Borghi in maniera magistrale, con una somiglianza fisica impressionante ottenuta grazie ad un grande lavoro di dimagrimento (sfruttando in parte il ruolo ne Il primo Re per la regia di Matteo Rovere di prossima uscita). Sulla mia pelle è un film definitivo sulla morte e sul potere, per fare un paragone (con le debite differenze estetiche e artistiche) come lo era stato Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pasolini, dopo aver visto il quale non si è più gli stessi e niente è più lo stesso. Anche le varie tappe della “via crucis” di Cucchi nel film di Cremonini richiamano i gironi danteschi infernali in cui era diviso l’ultimo film di Pasolini e in particolare il Cerchio dei Violenti. Un film che forse avrebbe dovuto chiudere e non aprire la 75ª Mostra del Cinema di Venezia, perché vedere qualsiasi altra cosa dopo è molto difficile.
L’obiettivo e la forza del film
Il regista Alessio Cremonini (autore anche del soggetto e della sceneggiatura con Lisa Nur Sultan) ha letto e studiato a fondo circa 10 mila pagine di verbali per fare questo film, che risulta quindi molto rigoroso nella narrazione, che segue fedelmente le testimonianze processuali e i racconti della famiglia Cucchi. La sceneggiatura non strumentalizza i fatti, il regista non indugia mai nel voyeurismo, il rispetto e la misura con cui vengono sviluppati i personaggi sono fondamentali. Una delle prove del pestaggio di Stefano è proprio “sulla sua pelle” (da qui il titolo del film), Cucchi porta addosso evidenti i segni di quello che gli è stato inferto mentre era stato preso in custodia dallo Stato. Il regista è per sua stessa ammissione un garantista e i film non sono aule di giustizia, i processi si fanno in tribunale. Tuttavia Sulla mia pelle è un fortissimo atto di denuncia, il tentativo di fare diventare carne il cinema, un pugno allo stomaco necessario e diretto a minare tutte le certezze che possiamo avere sullo Stato di diritto e sulle “forze dell’ordine”, soprattutto in un momento come questo in cui l’attuale ministro dell’interno si dichiara contrario all’introduzione del reato di tortura in Italia “perché carabinieri e polizia devono poter fare il proprio lavoro, e se qualcuno si fa male sono affari suoi”.
Una lunga serie di ingiustizie e storie sbagliate
«Non è accettabile, da un punto di vista sociale e civile prima ancora che giuridico, che una persona muoia non per cause naturali mentre è affidata alla responsabilità degli organi dello stato», così ha scritto Giuseppe Pignatone, procuratore della Repubblica di Roma. Che in uno Stato di diritto, quale dovrebbe essere l’Italia, ancora negli anni 2000 possa accadere qualcosa del genere è davvero inconcepibile e terribile allo stesso tempo. La vicenda di Stefano Cucchi è un concentrato assurdo e combinato di tutto quello che non dovrebbe capitare ad un cittadino nelle mani dello Stato, anche quando abbia avuto dei comportamenti devianti e sia stato tratto in arresto, o forse proprio per questo. Nulla giustifica il pestaggio gratuito e violento, l’abbrutimento e l’indifferenza in cui è stato lasciato morire Stefano, e la cosa peggiore è che non è stato certamente il primo né l’ultimo: il documentario 148 Stefano mostri dell’inerzia di Maurizio Cartolano aveva dimostrato come il caso Cucchi sia stato solo uno dei tanti, forse il più eclatante, tra i decessi avvenuti per mano dello Stato. Ma prima c’era stato il caso di Federico Aldrovandi, ucciso da quattro poliziotti nel 2005, e prima ancora del caso Cucchi il caso di Giuseppe Uva, morto nel 2008 dopo essere stato portato in caserma. Qualunque sarà la verità che emergerà dal processo, ci sono già elementi sufficienti per ritenere che la morte di un ragazzo preso in consegna dallo Stato sia stata provocata da “tutori dell’ordine” che invece sono diventati i suoi aguzzini, e questa fine impietosa grida e pretende a gran voce giustizia. Hanno ammazzato Stefano, ma Stefano è vivo!
Sulla mia pelle, diretto da Alessio Cremonini, con Alessandro Borghi, Jasmine Trinca, Max Tortora e Milvia Marigliano, sarà nelle sale (e su Netflix) dal 12 settembre, distribuito da Lucky Red.