La recensione di Tár, il nuovo film del regista Todd Field con protagonista una magnetica Cate Blanchett, già premiata alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia con la Coppa Volpi alla migliore attrice e il Golden Globe
Cate Blanchett prenota quasi sicuramente il suo terzo Oscar grazie ad un’interpretazione misurata e magnetica in Tár, il film diretto da Todd Field (Little Children), già premiata alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia con la Coppa Volpi alla miglior attrice e il Golden Globe. Un film di estrema eleganza formale e dalla scrittura attenta alla sua protagonista, ma forse fin troppo algido e dilatato nel racconto di una carriera e di una donna eccezionale che lentamente sprofonda in un vortice di bugie ed errori.
Tár on Tár
Lydia Tár (Cate Blanchett) è una pianista di fama internazionale nonché una etnomusicologa, compositrice vincitrice di Oscar, Tony, Grammy ed Emmy e prima donna direttrice della Filarmonica di Berlino. Intervistata dal New Yorker promuove diversi nuovi progetti, tra cui l’imminente registrazione dal vivo della Quinta Sinfonia di Mahler e il nuovo libro Tár on Tár. Si affida a Francesca (Noémie Merlant), la sua assistente personale ed ex-amante, e a Sharon (Nina Hoss), sua compagna di vita e primo violino con la quale condivide la custodia di una figlia di nome Petra. Lydia inoltre è in ottimi rapporti con Eliot Kaplan (Mark Strong), un investitore e direttore d’orchestra dilettante che ha co-fondato con Lydia la Accordion Foundation per sostenere le aspiranti direttrici d’orchestra. In seguito alla morte per suicidio di una sua ex-borsista di nome Krista Taylor (Sylvia Flote), la quale accusa Lydia di averle rovinato la carriera dopo delle avances sessuali non corrisposte, la vita e la reputazione di quest’ultima crollano a picco trascinando con sé anche la sua famiglia e l’appoggio delle persone a lei fino a quel momento vicine.
Un tour de force attoriale
Nel corso dei suoi 158 minuti di durata Tár sottopone la sua protagonista/interprete Cate Blanchett ad un vero e proprio tour de force attoriale. La macchina da presa di Field è continuamente attaccata a Lydia, ne cattura ogni minimo movimento del corpo e delle mani, ogni tic facciale, ogni smorfia per farci entrare all’interno della sua mente, della sua anima, del suo genio. È un personaggio molto bello, quello di Lydia Tár, non tanto perché ribalta completamente alcune dinamiche di potere in un ambiente – come quello dell’alta musica- tradizionalmente maschilista e restio ai cambiamenti, quanto piuttosto perché è costruito su un’immagine diversa. Lydia non subisce, Lydia fa subire. È una donna che non si fa soggiogare dal suo stesso potere ma lo usa per il proprio tornaconto, una donna che presumibilmente si è approfittata di due giovani musiciste chiedendo loro del sesso in cambio di spinte e raccomandazioni, e che è costretta a pagare il prezzo di questo abuso. Nonostante la grande freddezza del personaggio ed un carattere che nel corso della pellicola si va aprendo soltanto a piccole dosi, Cate Blanchett regala alla sua Lydia un’umanità straordinaria, ma ancora di più le regala il dono del dubbio, dell’incrtezza, della paura di non essere per una volta all’altezza della situazione. E questo ce la fa apparire molto più vicina a noi comuni mortali, seppur altissima nella sua irraggiungibilità.
L’eleganza della musica
È un film elegantissimo questo Tár, a partire dalla fotografia sempre molto desaturata, dal ritmo affatto sostenuto che procede solo nell’ultimo atto per accelerazione e dalla scrittura precisa al millimetro nel portare in scena tutti i conflitti principali. Ma è il suono, però, l’elemento che tenta di distruggere questa patina raffinata. Un suono sferzante, improvviso e quasi violento, quello di un’intera orchestra chiamata a portare in vita le partiture di Bach, Beethoven o Mahler, un suono che diventa quasi rumore bianco quando si tratta invece di scavare all’interno del mondo oscuro di Lydia Tár tra quei fantasmi che aleggiano nel buio. Un film di visioni questo Tár, quasi di inseguimenti verrebbe da dire, un’opera che non lascia mai andare via la sua protagonista perché è lei il mondo narrativo tutto, la sostanza da cui la bellezza, i sogni, il dolore e gli incubi vengono creati. Non c’è nessuna redenzione nel percorso di Tár, nessuna possibilità di essere perdonata anche in nome di quell’arte che l’ha magnificata e l’ha resa immortale; c’è solo la musica, perché quella resta e continua ad andare, sfidando il tempo, la forma e la parola.
Una donna figlia del suo tempo
Ma Tár è anche un film sulla deriva dei nostri tempi, sul modo in cui l’arte può essere sublimata o al contrario devalorizzata da una visione superficiale di un/un’artista da parte di coloro che non sanno distinguere il contenuto artistico dal proprio creatore. Perché attraverso la figura di questa direttrice d’orchestra così geniale ma anche così eclettica, capace di spaziare dalla musica colta che si bea di essere per pochi alle colonne sonore per film o videogiochi, la parabola di questa storia ci racconta di uno spaccato sociale e culturale molto profondo, di una ferita apparentemente insanabile. E allora qual è l’unica soluzione possibile, che Field sembra volerci suggerire? Seguire la musica, comprenderla fino in fondo, abbracciarne tutti i contorni e le sfumature come per le persone, imparare a rifiutare il pregiudizio. In fondo Lydia è una donna di questo tempo, del suo tempo, una donna fieramente diversa rispetto ad un modello tradizionale ma madre, compagna, figlia e soprattutto artista. Un genio non incapace di amare ma di farlo a modo suo, un genio segnato dal peso della sua stessa genialità ma in grado di emozionarsi qualche volta, nonostante quello che gli altri possano pensare.
Tár. Regia di Todd Field con Cate Blanchett, Mark Strong, Noémie Merlant, Nina Hoss e Sylvia Flote, in uscita nelle sale il 9 febbraio 2023 distribuito da Universal Pictures Italia.
Tre stelle e mezzo