La nostra recensione di Thanksgiving, il grande ritorno allo slasher di Eli Roth con protagonista Patrick Dempsey: cattivo, sanguinoso e anche in grado di tirare un paio di bei missili all’American way of life, ma forse un po’ troppo formulaico soprattutto nel finale
Se c’è una festa che urla Stati Uniti d’America a gran voce, quello è il Ringraziamento: il tacchino ripieno, i grazie declamati prima dell’abbuffata e poi il successivo Black Friday molto più profano che sacro. Non poteva quindi mancare come sfondo temporale per uno slasher vecchia maniera, e allora ci ha pensato il redivivo Eli Roth con questo Thanksgiving a colmare la lacuna. Protagonista adulto Patrick Dempsey (già vito in Ferrari quest’anno) assieme ai giovani Addison Rae e Milo Manheim, ma soprattutto gore e un certo sano e rigenerante sadismo che da queste parti ci erano proprio mancati.
Nessuno resterà impunito
La cittadina di Plymouth, in Massachusetts, è sconvolta da una terribile tragedia avvenuta all’interno di un centro commerciale durante il Black Friday. Un anno dopo, durante i festeggiamenti del Ringraziamento, un misterioso e feroce serial killer noto come John Carver comincia a torturare e uccidere gli abitanti, seguendo un grottesco piano di vendetta e prendendosela soprattutto con un gruppo di ragazzi che nascondono a loro volta uno scomodo segreto. Quelli che iniziano come omicidi casuali si rivelano parte di un più ampio e oscuro disegno legato alla festività, mentre lo sceriffo locale (Patrick Dempsey), Abby (Addison Rae), Ryan (Milo Manheim) e i loro amici tentano di fermarlo.
Che il pranzo abbia inizio
Nel nostro paese non esiste un immaginario così forte e iconico legato alla tradizionale festa del Ringraziamento, nonostante ormai film e serie televisive statunitensi abbiano fatto di tutto per introdurci al culto del rendere grazie a base di grandi abbuffate di tacchino. Nel Nord America però questa festa vecchia ormai di 400 anni rappresenta un vero e proprio momento di aggregazione collettiva, di condivisione e soprattutto di bilanci per l’anno che è trascorso oltre che di gratitudine. Eli Roth ha deciso così di sovvertire lo spirito di questa celebrazione nella maniera che gli riesce meglio, a colpi di accetta con un bagno di sangue così violento e viscerale da fargli rischiare una censura ancora più stretta.
Ovviamente Thanksgiving rispecchia tutti i dettami dello slasher duro e puro, a partire da una struttura da whodunit che cita apertamente Agatha Christie (i tavoli apparecchiati con il nome delle potenziale vittime sembrano richiamare Dieci piccoli indiani) e da un profluvio di budella, teste decapitate e corpi martoriati che richiamano la violenza efferata dei vari Hostel, oltre che di tanto cinema di serie B. Non che chi scrive abbia qualcosa in contrario, anzi, visto che il divertimento non manca a partire dalla prima clamorosa sequenza inziale dell’assalto al supermercato, per poi proseguire con una mattanza spietata e divertita, capace di non prendersi neanche eccessivamente sul serio.
L’American way of life
Lungi dal volere essere un film di denuncia impettito e serioso, Thanksgiving utilizza però il linguaggio e la grammatica propri dello slasher per piazzare comunque qualche affondo piuttosto riuscito sullo stile di vita americano e sulle sue innumerevoli contraddizioni. L’esempio più lampante è proprio l’assalto iniziale al supermercato che richiama nient’altro che un Walmart nel nome, nei colori e nell’architettura, in un delirio di iperconsumismo che non si ferma neanche davanti alla sacralità della vita, figuriamoci al buonsenso.
Ma non è solo l’eccesso di consumismo a finire nel mirino di Eli Roth e del suo tritacarne, perché sono diversi gli orrori/errori della cultura americana sfiorati anche solo con una battuta: l’ossessione per le armi da fuoco, il razzismo latente nella provincia americana, un certo machismo tossico e il lato oscuro dei social network. Ora, Roth di certo non è diventato un bacchettone e, anzi, i suoi teenager si ubriacano, fanno sesso, sono spocchiosi e irritanti e per questo non vedi l’ora che muoiano malissimo. Piuttosto, l’impressione che questo Thanksgiving lascia è che invece abbia cominciato a guardare il proprio paese con un occhio un po’ più critico e maturo.
La prossima volta però meno aderenza
Se c’è un punto in cui Thanksgiving lascia a desiderare è nella gestione dello scioglimento della vicenda, cioè nello svelamento del killer e delle sue motivazioni. Non solo perché risulta francamente un po’ troppo telefonato a chi abbia già una discreta dimestichezza con il genere, ma soprattutto perché tutta la critica di cui sopra viene un po’ annacquata da una classica storia di vendetta, in cui l’incidente scatenante del film diventa persino un po’ pretestuoso. Non è un problema che inficia particolarmente l’esperienza e la godibilità della pellicola, però non le permette di fare quel passo ulteriore lasciandola in quel limbo dell’ “avrebbe potuto osare ancora di più”.
Ci troviamo invece davanti un terzo atto fin troppo formulaico e aderente a tutti gli stilemi del genere, con però un divertente ultimo colpo di coda che cita Venerdì 13 e tanti altri capisaldi dello slasher mantenendo però una propria distinguibilità. Thanksgiving rimane un popcorn movie con una sua intelligenza, una discreta capacità di generare e accumulare tensione, un buon ritmo, un paio di trovate registiche particolarmente efficaci e una prova dignitosa di Patrick Dempsey nel ruolo dello sceriffo e di Addison Rae in quello di Abby. Ce n’è abbastanza per ringraziare Eli Roth, aspettandolo al varco per una nuova festività. Magari vorrebbe tentare col nostro Ferragosto?
TITOLO | Thanksgiving |
REGIA | Eli Roth |
ATTORI | Patrick Dempsey, Addison Rae, Rick Hoffman, Gina Gershon, Milo Manheim |
USCITA | 16 novembre 2023 |
DISTRIBUZIONE | Eagle Pictures |
Tre stelle