Tratta dall’omonimo romanzo della scrittrice femminista Margaret Atwood, The Handmaid’s Tale è il ritratto di un futuro distopico in cui il patriarcato è di nuovo una cruda realtà. Ideata da Bruce Miller, la serie firmata Hulu ha riscosso un successo mondiale aggiudicandosi ben otto Emmy.
Un anno fortunato per la scrittrice canadese
Il 2017 è stato un anno proficuo per la celebre scrittrice e attivista: oltre a vincere il prestigioso Raymond Chandler Award, premio dedicato alla letteratura noir, Margaret Atwood ha visto due delle sue maggiori opere trasformarsi in serie tv subito applaudite dalla critica. Stiamo parlando di The Handmaid’s Tale, serie firmata Hulu e disponibile in Italia su TIMvision, oltre che di Alias Grace, miniserie di 6 episodi che debutterà il 3 Novembre su Netflix. The Handmaid’s Tale è l’angosciante ritratto di un futuro distopico in cui un movimento estremista cristiano ha conquistato gli Stati Uniti, riportando il patriarcato ad essere una concreta realtà, in cui per le donne non c’è più spazio se non in quanto mogli ubbidienti o uteri ambulanti. Ideata da Bruce Miller, la serie si è aggiudicata ben otto Emmy nell’edizione di quest’anno, grazie anche alle interpretazioni magistrali di Elisabeth Moss e di un’inaspettata Alexis Bledel. Di seguito vi proponiamo la nostra recensione con qualche motivo in più per non perdersi questo capolavoro del piccolo schermo.
Un futuro attuale che ci riguarda tutti
Gli Stati Uniti non esistono più, al loro posto c’è Gilead, antica città biblica citata in vari passi delle Sacre Scritture. Alla sostituzione di nome corrisponde un altro ordine di significati, ed è quello che apprendiamo subito dalle parole della protagonista e voce narrante: «il mio nome è Difred, prima avevo un altro nome ma adesso è proibito. Tante cose sono proibite ora». June, così si chiama davvero, è una delle Ancelle, donne particolarmente fertili ridotte in schiavitù e costrette ogni mese a subire il rituale della Cerimonia, uno stupro legalizzato al fine di dare figli alla Patria. L’unica ragion d’essere delle Ancelle è nel loro utero: sono un esercito di incubatrici in carne ed ossa, di proprietà dell’uomo che di volta in volta è chiamato ad ingravidarle, come esprime il patronimico, ‘Di-Fred’, letteralmente. L’angoscia che proviamo fin dalle prime scene di The Handmaid’s Tale è motivata dalla brutalità della realtà che ci viene presentata e che porta con sé, tuttavia, un altro tipo di presentimento, quello di assistere, in fondo, ad un futuro ‘già visto’, familiare nella sua teorizzazione. Perché?
Femminismo contro Patriarcato: politica dell’Ancella
Con The Handmaid’s Tale abbiamo l’impressione di osservare increduli la chirurgica applicazione di tutte quelle rivendicazioni misogine ed estremiste che ancora oggi riempiono la scena politica mondiale. Non a caso negli Stati Uniti molte donne hanno deciso di protestare contro alcuni disegni di legge travestendosi proprio da ancelle, con la mantella rossa e il caratteristico cappello bianco. D’altronde, la stessa Margaret Atwood, davanti a critiche che riguardavano l’esplicita violenza della narrazione, ha risposto che, in fondo, nulla è stato inventato, ma è ciò che le donne sono state costrette a subire in diversi tempi e luoghi della storia umana, ed è proprio questa la verità a cui giungiamo di episodio in episodio, di violenza in violenza: è già successo, e la realtà sarebbe effettivamente di nuovo questa se le parole di quel presidente o di quel politico fossero applicate alla lettera oggi stesso.
Il posto della donna: quando le aguzzine siamo noi
La società di Gilead si fonda su un sistema fortemente gerarchico, sessista ed assolutamente omofobo. Al vertice troviamo il maschio etero ed in fondo la comunità gay, definita ‘traditrice del genere’. In mezzo la donna, che si staglia come un monolite nel mondo maschile, senza sfaccettature né distinzioni, se non di ruolo, ma non di valore. In The Handmaid’s Tale il ‘posto della donna’ è uguale per tutte, ancelle, mogli dei facoltosi governatori, serve, prostitute: senza voce e senza potere. Ecco perché all’interno della popolazione femminile si ricrea uno schema di vittima-carnefice, in cui sono le donne stesse a rinforzare il predominio maschile su di esse e ad agire in maniera crudele nei confronti delle proprie sottomesse. Paradossalmente, i personaggi più violenti che incontrerà Difred saranno donne, da Zia Lydia (Ann Dowd) alla signora Waterford (Yvonne Strahovski). Quest’ultima è un personaggio particolarmente interessante, ex attivista, donna intelligente ed ambiziosa, pare anch’ella in certi momenti rendersi conto del miserabile posto che le spetta e che lei stessa ha contribuito a ritagliarsi.
Oltre la vittimizzazione: la resilienza delle donne
La brutalità, la sofferenza, il senso di impotenza fanno però da contraltare all’altro grande tema della serie, quello della sorellanza. Le Ancelle sono vittime, ma nel loro sapersi portatrici di un comune destino iniziano a percepirsi come un esercito. Avviene perciò il ribaltamento, soprattutto nel finale di stagione, da inermi oggetti passivi, spettatrici della propria sorte, a donne che sanno organizzarsi ed esprimere il proprio potere, facendo rete tra loro. Non solo: seguendo la storia di Difred, osserviamo l’evolversi del personaggio, che sviluppa sempre più consapevolezza e scaltrezza, arrivando a riappropriarsi man mano dei propri ricordi e della propria storia, che apprendiamo attraverso i continui flashback, e fintanto di una propria sessualità, libera, autonoma e soprattutto consensuale.
Riconoscere il Male
La costruzione temporale a flashback ci innesca di episodio in episodio un turbine di sentimenti contrastanti, tra cui spicca il senso di impotenza vissuto dai protagonisti, ma soprattutto ci mostra con i continui confronti tra passato e presente i campanelli d’allarme, inizialmente forse banali ma che presto si trasformano in una vera e propria persecuzione, con arresti arbitrari, sparizioni, esecuzioni sommarie, e nella scomparsa di ogni libertà. The Handmaid’s Tale ci mostra un mondo che precipita incredulo in un passato arcaico di cui nessuno s’aspettava davvero un ritorno. Ma l’incredulità iniziale fa ben presto posto alla certezza dell’irreversibile e alla consapevolezza che, forse, tutto poteva essere evitato. E noi non possiamo che porci una domanda: saremmo in grado di riconoscere il male, vedendolo arrivare, anche quando si maschera da Legge, Ordine, Progresso, Dio?
A tale densità di temi si accompagna una sceneggiatura perfetta, interpretazioni memorabili e una colonna sonora indimenticabile. In molti hanno definito questa serie un capolavoro, e noi non ci sentiamo di contraddirli. Nolite te bastardes carborundorum, bitches!