The Irishman: recensione del gangster movie definitivo di Scorsese

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The Irishman di Martin Scorsese è uno spettacolo sontuoso e purissimo, che ripercorre cinquant’anni di storia americana e che riflette sull’inesorabile passare del tempo, attraverso l’amicizia tra tre personaggi meravigliosi, interpretati dagli straordinari Robert De Niro, Joe Pesci e Al Pacino, che alla sua prima collaborazione con il regista newyorkese regala una prova che profuma di Oscar.

Il capolavoro senile di Martin Scorsese

C’è un inevitabile fil rouge semantico che parte dal 1973 – anno di uscita del seminale Mean Streets – passa da Quei bravi ragazzi e arriva fino a quest’ultimo e monumentale The Irishman. Capolavoro senile che ha in sé tutti segni più riconoscibili di quel filone gangsteristico i cui codici lo stesso Scorsese ha contribuito a riscrivere in misura massiva nell’arco della sua carriera e dai quali, allo stesso tempo, si smarca per rappresentarne una sorta di deriva inesorabilmente autunnale. È chiaro fin da subito, dal bellissimo incipit che vede la macchina da presa addentrarsi lungo il corridoio della casa di riposo dalla quale un ormai anziano Frank Sheeran (Robert De Niro) inizia a raccontare la sua malinconica epopea, forse più a se stesso che non allo spettatore.

Un film di ritorni e addii

Film di ritorni (impossibili) e di (possibili) addii, The Irishman, sulla carta, è il sogno proibito di qualsiasi amante del cinema di Scorsese – che è un po’ come dire qualsiasi amante del Cinema – anche se, di fatto, piega le aspettative dei fan verso lidi inusuali, che hanno molto più a che fare con il polar che non con la furia di un’opera come Casino. Al quale comunque questo film si avvicina per la scelta di raccontare la mafia attraverso lo sguardo di un osservatore partecipante, un veterano della Seconda Guerra Mondiale e autista di camion che un giorno incrocia la sua strada con quella del boss Russell Bufalino (Joe Pesci) che riconosce immediatamente in lui l’affidabilità necessaria in un “ufficiale” della malavita. Sicario perfetto perché reso insensibile alla morte dalle atrocità della guerra, Frank viene presentato al potentissimo leader del sindacato dei camionisti Jimmy Hoffa (Al Pacino) con il quale instaura un rapporto di amicizia e di complicità, fino a diventarne il più fidato consigliere.

The Irishman – Al Pacino e Robert De Niro sono Jimmy Hoffa e Frank Sheeran

Un nostalgico déjà-vu

Le vite di questi tre personaggi si intrecciano e attraversano cinquant’anni di Storia degli Stati Uniti. Impossibile, durante la visione, non cadere in ben più di un déjà-vu quando la macchina da presa indugia sui volti ormai invecchiati di Harvey Keitel (il suo è poco più di un cameo ma il cortocircuito cinefilo è assicurato) o di Pesci, ma ciò che stupisce è il modo in cui Scorsese costruisce questa sorta di testamentaria opera monstre lavorando continuamente di sottrazione, sia da un punto di vista tecnico – movimenti di macchina meno selvaggi, meno rock’n’roll e (molta) meno violenza – sia nella direzione di un terzetto di attori sublimi ma tutti mediamente inclini al ‘sopra le righe’ e qui gestiti invece con una misura e un basso profilo che hanno dell’incredibile, soprattutto per quanto riguarda Al Pacino che, in mano a Scorsese, asciuga la sua recitazione da almeno un ventennio di overacting alla “avvocato del diavolo”.

Il classico spettacolo della vita e della morte

Così, sospeso tra malinconica ricerca di un tempo perduto – anche se mai del tutto posseduto – e tragedia greca, The Irishman offre uno spettacolo sontuoso. Tre ore e mezza di cinema purissimo e, a suo modo, delicato che, sotto la patina del genere, offrono in realtà il più classico degli spettacoli della vita e della morte. Un’elegia sull’amicizia virile e sul tempo che passa, scandita dai rimpianti e dai sensi di colpa, retaggio di un’educazione cattolica con la quale Scorsese non ha mai smesso di fare i conti. “It is what it is” ripete Bufalino a Frank in una delle scene più intense del film. Una frase che se, nella storia, rappresenta una inequivocabile sentenza, in termini paratestuali riflette sull’irreversibilità del tempo e su un’idea di ineluttabile che abita ogni fotogramma del film.

The Irishman - Joe Pesci e Robert De Niro in una scena
The Irishman – Joe Pesci e Robert De Niro in una scena

Al Pacino da Oscar

In tal senso la decisione di non affidare le diverse fasi anagrafiche dei personaggi a più attori assume una sorta di mesto valore aggiunto, nella misura in cui tutta la CGI del mondo non riesce comunque a ringiovanire la pesantezza di movimenti che risultano già vecchi. 209 minuti in cui Scorsese ripercorre le sue orme, cita se stesso – impossibile non rivedere il Travis Bickle di Taxi Driver nel De Niro ringiovanito digitalmente al volante del suo camion – e, giocando con i piani temporali con fluidità esemplare, costruisce un Greatest Hits di tutto il suo cinema. Ovvio che tanta magnificenza sia in parte anche frutto del rivedere sullo schermo Joe Pesci dopo nove anni di assenza dal grande schermo o De Niro nella sua prima performance degna del suo nome da decenni. Ma a giganteggiare su tutti c’è un Al Pacino nel ruolo della vita che, alla sua prima collaborazione con Scorsese, mette una seria ipoteca sull’Oscar come migliore attore non protagonista.

The Irishman presentato in anteprima alla 14° edizione della Festa del Cinema di Roma. Distribuito da Netflix il film sarà disponibile sulla piattaforma dalla sua uscita in sala dal 4 al 6 novembre. Diretto da Martin Scorsese con Robert De Niro, Al Pacino, Joe Pesci, Harvey Keitel, Ray Romano, Bobby Cannavale, Anna Paquin, Stephen Graham.

 

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