La nostra recensione di The Penitent, quarto film da regista di Luca Barbareschi ispirato ad una pièce teatrale di David Mamet, qui in veste di sceneggiatore: molto interessante e ricco di potenziali opportunità il concept di partenza, peccato per la resa filmica
In The Penitent sembrano convivere l’anima anticonformista di Luca Barbareschi e quella analitica di David Mamet, il grande drammaturgo americano premio Pulitzer che questa storia l’ha prima portata a teatro e poi ha deciso di adattarla per il grande schermo. Presentato fuori concorso allo scorso Festival di Venezia, il quarto film del regista, attore e produttore milanese prova a condensare in due ore tanti argomenti e un tema, quello della responsabilità morale individuale, non certamente facili da sviscerare in così poco tempo. Catherine McCormack, Adam James, Adrian Lester e il nostro Fabrizio Ciavoni si sono ritrovati davanti ad un’impesa ardua, anche nel caratterizzare dei personaggi a cui non viene dato molto spazio di manovra.
Di chi è la colpa?
New York. Carlos Hirsch (Luca Barbareschi) è uno psichiatra che vede deragliare la sua carriera e la sua vita privata, dopo essersi rifiutato di testimoniare a favore di un ex paziente violento ed instabile che ha causato la morte di diverse persone. L’appartenenza alla comunità LGBT del giovane paziente, il credo ebreo del dottore, la fame di notizie della stampa e il giudizio severo della legge, aggravati da un errore di stampa dell’editor di un giornale, sembrano essere gli elementi che fanno scatenare una reazione a catena esplosiva.
La gogna mediatica e l’accanimento del sistema giudiziario si sommano al dilemma morale nel professionista che si trincera dietro al giuramento di Ippocrate per difendersi dalle interrogazioni, dalle pressioni e dai tradimenti di tutti alla ricerca della verità.
Un cane che si morde la coda
Partiamo dal finale, perché nel finale sono condensate assieme tutte le possibilità inespresse e le mancanze di The Penitent. Senza rivelare nulla possiamo dire che in quegli ultimi cinque minuti avviene una rivelazione, e quindi uno scarto, che rovesciano completamente il punto di vista dello spettatore su un determinato personaggio. Ora, per poter funzionare un simile twist narrativo deve necessariamente essere preparato prima con calma, usando bene il sottotesto magari o con un adeguato lavoro sui personaggi, sul tema e sull’evoluzione stessa della storia. Invece qui il finale arriva improvviso e spiazzante, anche troppo, al punto da diventare poco credibile.
Ecco, un simile atteggiamento di scrittura prima e messa in scena dopo rappresenta bene le modalità lassiste con cui The Penitent è stato assemblato per il grande schermo. Perché, in fondo, il quarto lavoro di Luca Barbareschi avrebbe potuto funzionare molto meglio se l’idea fortissima che regge il suo concept si fosse poi tradotta in una visione chiara di dove portarlo e del come. E dire che il primo atto faceva pure ben sperare, drammaturgicamente teso e asfissiante, in cui l’impostazione teatrale della pièce e quella cinematografica convivono tra riprese a piombo sulla città e carrellate circolari attorno ai personaggi che discutono e in cui la posta in gioco appare chiara, evidente, piena di possibilità drammaturgiche.
Poi però la sceneggiatura comincia a mordersi continuamente la coda e l’intera pellicola perde man mano anima e spessore, s’incaglia in dei dialoghi troppo scritti e troppo recitati che vorrebbero intaccare questioni spinosissime come la responsabilità morale individuale di fronte al Male o il ruolo dei media nella distorsione dei fatti e della verità, ma che invece finiscono per girare continuamente a vuoto perché i personaggi non agiscono mai per attuare un cambiamento. È un’opera quindi estremamente verbosa e ridondante, e soprattutto manca di un cuore emotivo oltre a quello razionale e intellettuale che ci permetta di avere a cuore il protagonista e quindi di interessarci alla sua vita in distruzione.
L’anima del cinema
Però, sopra ogni cosa, ciò che manca a The Penitent è una vera e propria anima filmica. Tutta la pellicola è costruita su un principio di azione e reazione, ma in realtà né l’una e né l’altra hanno poi mai un riverbero effettivo su Carlos, sulle sue azioni, sulle sue convinzioni e quindi su una sua possibile evoluzione (o involuzione). Rimaniamo così appesi ad un vortice di parole infinito fino ad arrivare appunto a quel finale, così violento nelle intenzioni ma anche così ingenuo da farci dubitare della bontà dell’intero progetto.
Il tormento interiore ed esteriore di Carlos rimane quindi circoscritto a qualche simbolismo un po’ banale (il temporale continuo, i manifestanti che assediano il palazzo dove ha lo studio). Non aiuta la resa finale una recitazione o troppo sopra le righe (Catherine McCormack) oppure fin troppo abbozzata e priva di un reale coinvolgimento emotivo (Barbareschi), nonostante lo stesso attore milanese ci abbia sicuramente messo serietà e dedizione. In definitiva The Penitent è un’occasione persa che, dati i nomi in gioco, sembra rappresentare più una resa che un passo falso. Speriamo di sbagliarci.
TITOLO | The Penitent |
REGIA | Luca Barbareschi |
ATTORI | Luca Barbareschi, Catherine McCormack, Adam James, Adrian Lester, Douglas Dean, Fabrizio Ciavoni, Cherish Gaines, Jay Paul Bullard |
USCITA | 30 maggio 2023 |
DISTRIBUZIONE | 01 Distribution |
Due stelle e mezza