The Son, recensione: il secondo capitolo della trilogia di Florian Zeller è manipolatorio e aggressivo

The Son - Hugh Jackman e Zen McGrath (foto 01 Distribution)
The Son - Hugh Jackman e Zen McGrath (foto 01 Distribution)

La recensione di The Son, il secondo capitolo della trilogia di Florian Zeller a distanza di tre anni da The Father: Hugh Jackman e Laura Dern non riescono a salvare un film che abusa del dolore invece di raccontarlo

Un figlio da salvare a tutti i costi, un padre e una matrigna distanti e assenti, una madre fin troppo protettiva ma incapace di confrontarsi con quel dolore che il suo bambino si porta dentro. The Son del regista e drammaturgo francese Florian Zeller, già passato all’ultimo Festival di Venezia, arriva a tre anni da The Father e affronta di petto il conflitto generato dall’assenza e dall’incomprensione, ma invece di rielaborarlo e renderlo universale lo sbatte in faccia allo spettatore con una violenza isterica e incomprensibile.

Genitori e figli

Due anni dopo il divorzio dei genitori, il diciassettenne Nicholas (Zen McGrath) non riesce più vivere a con sua madre Kate (Laura Dern). La depressione che avverte è diventata una presenza costante e il suo unico rifugio sono i ricordi dei momenti felici di quando era bambino, a giocare in spiaggia con suo padre Peter (Hugh Jackman). Il ragazzo decide quindi di trasferirsi dal padre, che ha appena avuto un figlio dalla sua nuova compagna Beth (Vanessa Kirby), la quale ha un rapporto estremamente burrascoso con Nicholas. Peter prova a occuparsi di Nicholas pensando a come avrebbe voluto che suo padre Anthony ( Anthony Hopkins) si fosse preso cura di lui, ma nel frattempo cerca di destreggiarsi tra la sua nuova famiglia e la prospettiva di un’allettante carriera politica a Washington. Nicholas però sta sprofondando sempre di più nel baratro della depressione e avrà bisogno di tutto l’aiuto di Peter e Kate per uscirne, prima che si troppo tardi.

The Son - Zen McGrath, Laura Dern e Hugh Jackman (foto 01 Distribution)
The Son – Zen McGrath, Laura Dern e Hugh Jackman (foto 01 Distribution)

Un racconto asmatico

Se nel precedente The Father Florian Zeller ha raccontato l’abisso della memoria provocato dall’Alzheimer con il giusto grado di sensibilità e distacco emotivo, in questo The Son l’approccio è fondamentalmente l’opposto. Via lo scalpello, Zeller procede di mannaia affondando il colpo nei suoi personaggi e nelle loro relazioni. Non c’è nulla di accennato o di sussurrato in questo secondo capitolo, tutto viene urlato e sbattuto in faccia come se allo spettatore servissero delle coordinate precise per individuare il conflitto emotivo. Lo stesso rapporto tra Peter e Nicholas non va oltre i silenzi imbronciati, le litigate feroci e l’incapacità da parte di entrambi di entrare nei panni reciproci, rimanendo confinato all’interno di pochi spazi e di situazioni che si ripetono. La mancanza di respiro della narrazione si riflette quindi nei personaggi, troppo chiusi nel loro mondo interiore e inadatti a relazionarsi col mondo esterno; questo elemento, che un po’ rappresenta o avrebbe potuto rappresentare un loro difetto fatale, non viene mai adeguatamente sviluppato e non subisce mai una trasformazione o un’evoluzione.

The Son - Vanessa Kirby (foto 01 Distribution)
The Son – Vanessa Kirby (foto 01 Distribution)

L’abisso del dolore

In tutto questo eccesso di introspezione il dolore di Nicholas viene affrontato con un certo voyeurismo, una morbosità dettata probabilmente dalla necessità di far intravedere il cuore emotivo e tematico The Son. Di conseguenza tutte le svolte narrative del film, poche e fin troppo prevedibili, risentono di quest’approccio votato al tragico e all’elegiaco e anche i momenti più leggeri e di maggior contatto vengono penalizzati e rovinati. Una discesa senza fine nell’abisso di un dolore senza fine, ma a dispetto del titolo il paradosso è che sembra essere Peter il vero protagonista del film. È attraverso i suoi occhi o la sua voce che vediamo gli eventi di The Son, ed è il suo l’unico personaggio costretto ad una sorta di evoluzione durante le quasi due ore di visione. Nonostante una prova intensa e matura di Hugh Jackman e una Vanessa Kirby che illumina letteralmente lo schermo, l’utilizzo pomposo ed eccessivo delle musiche, i dialoghi artificiosi e un’atmosfera costantemente plumbea appesantiscono la narrazione e non riescono a nascondere le ingenuità di sceneggiatura, come quella del prefinale che vorrebbe sconvolgere ma che invece dimostra, ancora una volta, quanto una scrittura attenta e precisa sia fondamentale per costruire un film. D’altronde era la lezione di Hitchcock stesso: se una pistola viene inquadrata dovrà necessariamente sparare.

The Son - Hugh Jackman e Anthony Hopkins (foto 01 Distribution)
The Son – Hugh Jackman e Anthony Hopkins (foto 01 Distribution)

Pochi momenti di luce

In un’opera che vive costantemente nell’ombra sono pochi i bagliori di luce di The Son. La scena in cui Peter vorrebbe insegnare a suo figlio a ballare, i flashback in spiaggia e una breve apparizione di Anthony Hopkins (che vinse l’Oscar da protagonista proprio per The Father) danno un po’ di fiato al film, ma si tratta di brevi e fugaci momenti. Invece di asciugare e di alleggerire Zeller procede per accumulare l’intensità lasciando da parte l’ironia, la leggerezza e un po’ di sano ottimismo. Ché come scriveva anche Calvino la leggerezza non indica superficialità, ma al contrario la capacità di ampliare lo sguardo, di guardare tutto con una prospettiva migliore perché più completa. Ecco, forse a questo The Son manca un po’ tanto della lezione calviniana: perché anche il più grande dei dolori ha bisogno di un po’ di felicità per essere compreso, cosiccome anche l’oscurità più profonda avrà sempre bisogno di un po’ di luce per poter esistere e fare più paura.

The Son. Regia di Florian Zeller con Hugh Jackman, Laura Dern, Zen McGrath, Vanessa Kirby e Anthony Hopkins, in uscita domani 9 febbraio nelle sale distribuito da 01 Distribution.

VOTO:

Due stelle

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci qui il tuo nome