La recensione di The Woman King con protagonista Viola Davis, una furente ma fin troppo lineare epopea al femminile che racconta la vera storia delle guerriere Agojie nell’Africa del diciannovesimo secolo
La storia (vera) delle guerriere Agojie è stata per quasi due secoli dimenticata dal cinema, ma ora arriva finalmente The Woman King a riparare il torto. Il film, diretto e scritto dalla Gina Prince-Bythewood di The Old Guard e interpretato da Viola Davis, John Boyega e Lashana Lynch, è il racconto epico ma fin troppo formulaico di uno degli eserciti tutto al femminile più potenti e temuti della storia.
La milizia indomita
Regno del Dahomey, 1823. La giovane Nawi (Thuso Mbedu) viene venduta al re dal proprio padre, stanco delle continue ribellioni della figlia la quale non vuole sottomettersi ad un matrimonio di convenienza. Non appena arrivata alla corte del re Nawi conoscerà però Izogie (Lashana Lynch), una delle guerriere più valorose dell’esercito delle Agojie che da oltre due secoli proteggono il re e l’intero regno dagli attacchi dei nemici: i colonizzatori portoghesi e il popolo degli Oyo. Nawi verrà così convinta a sottoporsi ad un addestramento durissimo per diventare un’Agojie sotto il controllo di re Ghezo (John Boyega) e soprattutto del generale Nanisca (Viola Davis), che scoprirà di avere un legame in comune con la giovane Nawi. Quando Nawi incontrerà casualmente Malik (Jordan Bolger), fratello di uno spietato schiavista portoghese, e se ne innamorerà rischierà di mettere a repentaglio l’intero destino del Dahomey e dovrà dimostrerà di essere una vera Agojie prima che la guerra abbia inizio.
Una storia vera con personaggi annacquati
The Woman King è una vera e propria epopea tutta al femminile o quasi, in cui l’intento ben dichiarato della regista Gina Prince-Bythewood e della protagonista Viola Davis era quello di far luce su di una società piuttosto avanzata dal punto di vista sociale e del trattamento riservato alle donne )o parte di esse), specialmente considerando il fatto che stiamo parlando di un piccolo regno dell’Africa occidentale nel 1823. La vicenda è indubbiamente interessante, perché ci permette di inquadrare un particolare periodo storico e una particolare sub-cultura senza facili pregiudizi o luoghi comuni, ma anche di raccontare cosa sia davvero cambiato due secoli dopo per quanto riguarda l’emancipazione femminile e il ruolo della donna nella società contemporanea. È un po’ un rammarico, quindi, che la pellicola preferisca concentrarsi più sull’aspetto puramente fisico e militare della vicenda che su quello sociale e personale.
Le guerriere di The Woman King ci vengono sì rappresentate con i loro difetti e le immancabili fragilità, ma se escludiamo in parte i personaggi di Nanisca e di Nawi il resto delle guerriere Agojie sembrano un po’ abbandonate a se stesse, rimanendo ai margini della storia e soprattutto dando fin troppo l’impressione di essere state costruite su modelli predeterminati dalla forte impronta maschile.
Un’Africa che sa troppo di America
Il regno di Dahomey è stato uno dei regni più potenti e ricchi della storia africana, e in questo senso The Woman King si assicura di rappresentarlo nella maniera più veritiera e autentica possibile. Il problema, quindi, non sta tanto nelle scenografie imponenti, nei costumi o nella fotografia molto calda anche nelle scene notturne, quanto piuttosto nella rappresentazione delle dinamiche, dei conflitti e delle abitudini di tutti gli appartenenti alla società. In primis la scelta di utilizzare l’inglese come lingua “nativa” fa storcere il naso, soprattutto perché storicamente parlando quella regione è sempre stata una colonia francese oltre che un territorio pieno di dialetti e di parlate incomprensibili alle orecchie di un qualsiasi straniero. È un problema costante del film, quello del voler in qualche modo livellare tutta l’arena secondo degli standard di blockbuster hollywoodiani che poco hanno a che vedere con il cuore di questo racconto, cercando di rendere il film il più possibile appetibile a tante fasce di pubblico.
Tutto in questo The Woman King urla America molto più che Africa, e anche le stesse svolte narrative risultano molto spesso prevedibili, o peggio forzate. L’impressione che permane è quella di un film costruito più per voler rimarcare un modello di donna forte, indipendente e in grado di poter essere dominante in un mondo di uomini dominanti, piuttosto che di un film che intenda mostrarci davvero le contraddizioni, i lati nascosti sia positivi che oscuri e le lotte di emancipazione che davvero avvennero due secoli fa in quella parte del mondo e di cui costituivano lo scheletro.
Un racconto epico ma anche troppo familiare
Se l’intenzione era quella di realizzare una pellicola con una certa dose di epica, con scontri corpo a corpo all’insegna della violenza (comunque mai eccessiva), del sangue e del sudore e che potesse dare libero sfogo alla rabbia e alla volontà di indipendenza delle sue protagoniste, allora The Woman King si può dire un film tutto sommato riuscito. Però l’epica ha bisogno necessariamente di poter respirare, di trovare soluzioni narrative nuove che risuonino in qualche modo con il tema e con l’arena del film. Questa è un’opera che parla, in primis, di responsabilità e di senso del dovere nei confronti della nostra patria e soprattutto delle persone che amiamo. Questo aspetto del tema è ben visibile nel rapporto che mano a mano va costruendosi tra Nawi e Nanisca, e che Viola Davis mette in scena con la sua solita carica emotiva ma è anche un aspetto che va un po’ perdendosi nel momento in cui il film decide di spostare il focus dalla dimensione personale a quella collettiva. Tra stupri, figli perduti, vendette personali e tradimenti la pellicola di Gina Prince-Bythewood si adagia quindi su un già visto e un già sentito che fanno rimpiangere le possibilità narrative sterminate e più coraggiose che una storia del genere avrebbe meritato senza dubbio. E allora non bastano un cast che dà sufficienti garanzie e in cui, oltre alla Davis, spicca la Izogie di Lashana Lynch, un’ambientazione suggestiva e un buon ritmo nella gestione dell’intreccio; non bastano perché manca un’identità forte, un’identità vera anche in termini di messa in scena e racconto e, per ultima, manca un po’ di quel lato femminile in un film che vorrebbe parlare di donne.
The Woman King. Regia di Gina Prince-Bythewood con Viola Davis, Thuso Mbedu, Lashana Lynch, Sheila Atim e John Boyega, uscito nelle sale il 1 dicembre distribuito da Warner Bros Italia.
Due stelle e mezzo