La recensione di Tre di troppo, commedia diretta e interpretata da Fabio De Luigi con Virginia Raffaele: ritrovarsi con tre figli all’improvviso per diventare persone migliori
Fabio De Luigi torna alla regia con Tre di troppo, una commedia interpretata assieme a Virginia Raffaele che parla di genitorialità, libere scelte e conflitti generazionali (qui la conferenza).
Genitori all’improvviso
Marco (Fabio De Luigi) e Giulia (Virginia Raffaele) sono sposati da anni, amano ballare il tango una volta a settimana nella loro milonga di fiducia e soprattutto non vogliono avere figli. Mai, neanche per sbaglio. Un giorno, durante il compleanno della loro figlioccia organizzato dai loro migliori amici Anna (Barbara Chichiarelli) e Carlo (Renato Marchetti), una serie di sfortunati eventi finirà per rovinare la festa a tutti i presenti, scatenando così l’ira di Anna che lancerà una vera e propria maledizione contro Marco e Giulia. La mattina dopo sembra che nulla sia cambiato, almeno finché Max (Francesco Quezada), Sofia (Greta Santi) e Simeone (Valerio Marzi) non faranno la loro comparsa urlando dal fondo del corridoio, chiamandoli addirittura mamma e papà. Marco e Giulia dovranno quindi trovare un modo di tornare alla loro vita reale spezzando così la maledizione, prima di affezionarsi troppo pericolosamente a quelle tre adorabili pesti.
Una nuova prospettiva
Nel marasma generale che segue il primo vero punto di svolta di questo Tre di troppo è in qualche modo contenuta la chiave di lettura stessa dell’intera opera seconda targata Fabio De Luigi: essere genitori è in fin dei conti un gran casino. Lo è per i figli, certo, che devono sopportare e sobbarcarsi i tanti disagi degli adulti ma lo è anche per gli adulti che si ritrovano da un giorno all’altro ad avere a che fare con delle creature a loro aliene, con cervelli, corpi e cuori che non sono più in grado di comprendere né tantomeno di gestire. Il divario generazionale, poi, non fa altro che esacerbare questo conflitto rendendo genitori e figli pedine di schieramenti opposti che muovono sulla stessa scacchiera. Questo tipo di conflitto è già stato abbondamente esplorato da tanta commedia all’italiana (basti pensare al meraviglioso episodio di apertura de I mostri) e non solo, ma Tre di troppo ha quantomeno il merito non banale di portare la discussione su un livello di “rifiuto a priori” della genitorialità.
Un momento prima
L’arco narrativo di Tre di troppo procede spedito fino al terzo e decisivo atto, quando una decisione dei protagonisti spariglia tutte le carte in tavola. Ecco, forse in quel preciso momento il film avrebbe avuto bisogno di una svolta più radicale a 360°, di un colpo che scuotesse anche le certezze di uno spettatore più smaliziato e meno incline a farsi sorprendere. Pur sacrificando in parte il canonico atto di trasformazione di entrambi i protagonisti, l’opera seconda di Fabio De Luigi avrebbe potuto rinunciare ad una chiusa francamente banale e un filino retorica in favore invece di un epilogo più netto, meno consolatorio e certamente più coraggioso; sarebbe bastato forse fermarsi un attimo prima, non per un eccesso o una manifestazione di cinismo quanto piuttosto per pura coerenza interna alla narrazione e all’arco di trasformazione stesso di Marco e Giulia. In fondo il loro percorso in Tre di troppo non ha tanto a che vedere con lo scoprire il proprio lato genitoriale, quanto piuttosto con l’affrontare la paura metaforica e letterale del salto nel vuoto. Che questo salto avvenga poi nelle calde acque di una piscina davanti agli occhi di tutti o nel mostrare la nostra empatia davanti ad un figlio che ha bisogno di noi, onestamente poco importa.
Una commedia che diventa qualcos’altro
Fabio De Luigi non si è limitato nel dirigere questo Tre di troppo, ma lo interpreta al fianco di un’altra fuoriclasse della comicità contemporanea come Virginia Raffaele. I due insieme sono delle macchine da guerra, capaci di regalare ai loro due personaggi tanti strati e tante sfumature della commedia, dalla slapstick fino alla commedia degli equivoci passando per la commedia romantica. Nonostante tutto però e nonostante un cast di comprimari in grado di non sfigurare, come una magnifica Barbara Chichiarelli protagonista di una scena del film che flirta addirittura con l’horror, Tre di troppo tenta uno scarto verso la dramedy pura nel terzo atto. La pellicola si fa più seria senza essere troppo seriosa, e anzi cerca di stemperare la pesantezza e la cupezza di un paio di svolte narrative con l’innata simpatia dei tre piccoli protagonisti. Senza peccare troppo di superficialità e muovendosi con una discreta agilità tra i generi, Tre di troppo accelera e decelera continuamente sfruttando i tempi comici dei protagonisti e un discreto gusto di De Luigi per la messa in scena, ma schiaccia il freno e inverte la marcia proprio nel momento in cui avrebbe dovuto osare con un finale meno accomodante e buonista. Di buono resta comunque una riflessione non banale sul modo in cui le aspettative esterne arrivino a condizionare le nostre decisioni, arrogandosi il diritto di pontificare sulle altrui felicità. Se soltanto il film avesse seguito la stessa strada che ha tracciato ci saremmo trovati tra le mani un piccolo gioiellino, ma dopotutto è pur vero che ogni scarrafone è bello a mamma sua.
Tre di troppo. Regia di Fabio De Luigi con Fabio De Luigi, Virginia Raffaele, Marina Rocco, Barbara Chichiarelli, Renato Marchetti, Fabio Balsamo, Valerio Marzi, Greta Santi e Francesco Quezada, in uscita il 1 gennaio distribuito da Medusa Film.
Tre stelle