Tre manifesti a Ebbing, Missouri: al suo terzo film Martin McDonagh firma un dramma intenso, in cui si ride più di quanto ci si aspetterebbe. Una commedia profonda, che parla di rabbia e di voglia di giustizia, con personaggi interessanti e multiformi, interpretati da un cast d’eccezione.
Il dolore di una madre
Frances McDormand veste i panni di Mildred Hayes, una donna di mezza età divorziata e letteralmente distrutta dalla brutale uccisione della figlia sedicenne. Trascorsi diversi mesi dal tragico evento nessun colpevole è stato trovato e la polizia ha abbandonato le indagini. Decisa a non arrendersi, Mildred pensa di affittare tre cartelloni pubblicitari proprio all’entrata della cittadina (da qui il titolo Tre manifesti a Ebbing, Missouri), su cui affiggere tutta la sua rabbia, così da smuovere le forze di polizia, troppo impegnate ad esibire il proprio status di comando verso gli omosessuali e la gente di colore. Il linguaggio esplicito e arrabbiato, non tarda a creare dissensi e malumori in tutta la comunità provocando una serie di reazioni a catena dai risvolti inaspettati.
Tra rabbia, senso di colpa e redenzione
L’indagine alla base di Tre manifesti a Ebbing, Missouri sembra essere per Martin McDonagh punto d’innesco per riflettere sul rapporto tra rabbia, senso di colpa e redenzione. In questo senso il personaggio dello sceriffo Willoughby, assume le caratteristiche di un miraggio a cui tutti tentano di aggrapparsi per provare ad essere persone migliori, l’unico bagliore di speranza per non cadere in una spirale fatta di follia e violenza. Ma è davvero sufficiente? In un mondo che ha smesso di funzionare, ha davvero senso fare la cosa giusta? Questo è il dramma di Mildred, costretta a far fronte ad un dolore senza eguali, ma anche il dilemma di Dixon, entrambi tesi come sono alla ricerca di un colpevole, o almeno di un capro espiatorio su cui poter sfogare la propria rabbia, in un mare di insensato dolore.
Equilibrio perfetto
Forte di una sceneggiatura raffinatissima, Tre manifesti a Ebbing Missouri riesce a fondere il dramma più intimo e profondo a momenti di una comicità dissacrante, il tutto in un battito di ciglia. Una scrittura sferzante che unisce battute pungenti a momenti di una delicatezza commovente, in un movimento ondivago e sinuoso che ricorda quello di un’altalena. Dialoghi secchi ed espliciti che tengono fede al dolore e alla rabbia di una madre che fa dell’ironia colorita il suo cavallo di battaglia. Il film di McDonagh riesce ad essere politico senza mai dare l’impressione di volerlo essere. Di fianco al dolore e al desiderio di vendetta di Mildred si accomodano temi forti come il razzismo e un’ignoranza virale e rozza che, quasi primitiva, si abbatte senza eccezioni su qualunque genere, sul diverso in qualsiasi forma. Eppure il cambiamento è contemplato, i personaggi messi in scena sono quanto più umani possibile, pieni di difetti e contraddizioni, in balia di un mondo che di fatto stentano a comprendere.
Un incontenibile Sam Rockwell
In una galleria di personaggi che via via arricchiscono la narrazione, si evidenzia la crescente importanza del poliziotto Dixon, magistralmente interpretato da Sam Rockwell. Razzista e violento, oltre che protagonista di alcuni dei siparietti più comici del film, Dixon è specchio di un’America retrograda ed omofoba, nonché uno dei personaggi più interessanti. Da poliziotto iper-violento incapace di ascoltare, impulsivo e pericoloso, il suo personaggio segue un arco di maturazione che trova pieno compimento nel finale. In fondo il giovane Dixon è soltanto un ragazzo arrabbiato che non conosce altra via di sfogo oltre la violenza. Un personaggio pieno e multiforme, in grado di farsi odiare, ma anche di strappare più di una risata.
Un cast d’eccezione
Oltre ad una sceneggiatura tecnica di altissimo livello, l’opera di McDonagh fa dei personaggi il suo punto di forza. Una menzione speciale va alla splendida Frances McDormand che, con il suo volto spigoloso dai tratti duri e decisi, veste i panni di Mildred Hayes. Mildred è una madre malata di dolore, che con il suo sarcasmo amaro riesce a farci ridere, ma allo stesso tempo riflettere. L’intima sofferenza, la rabbia e la voglia di vendetta letteralmente trasudano dalle sue espressioni, dai suoi gesti e dalle sue parole. Non da meno la performance di Sam Rockwell, interprete del giovane Dixon, camaleontico e perfettamente in grado di calarsi nelle vesti di un personaggio complesso e multiforme. A testimonianza di ciò le premiazioni degli ultimi Golden Globe, che hanno visto trionfare entrambi. Come non citare poi Woody Harrelson, che nei panni dello sceriffo Willoughby ci regala un’interpretazione magistrale. Con estrema delicatezza riesce infatti a raccontare la rassegnazione, l’amore e la sofferenza di un uomo consapevole di star vivendo gli ultimi momenti della propria vita.
Tre manifesti a Ebbing, Missouri, scritto e diretto da Martin McDonagh, con Frances McDormand, Woody Harrelson, Sam Rockwell, Peter Dinklage, John Hawkes, Abbie Cornish, Caleb Landry Jones, Lucas Hedges, Kerry Condon e Zeljko Ivanek, è nelle sale italiane dall’11 gennaio 2018, distribuito da 20th Century Fox.