La recensione di Triangle of Sadness, la nuova satira non troppo corrosiva del regista svedese Ruben Östlund, già premiata a Cannes con la Palma d’Oro e nominata a tre premi Oscar incluso quello al miglior film
Dopo la Palma d’Oro non troppo a sorpresa all’ultimo Festival di Cannes e un passaggio allo scorso Roma Film Fest Triangle of Sadness, il nuovo film dello svedese Ruben Östlund (The Square, Forza maggiore), si aggiudica ben tre nomination di peso agli Oscar inclusa quella al miglior film. Una parabola satirica sulle disparità sociali e sul potere costruita in tre atti ben distinti, ma incapace di affondare davvero il colpo restando fin troppo in superficie.
Una crociera maledetta
Carl (Harris Dickinson) e Yaya (Charlbi Dean) sono due modelli e influencer che da qualche tempo si frequentano. Carl ce l’ha con Yaya perché quest’ultima si aspetta che le paghi i pasti anche se guadagna più di lui, perciò i due bisticciano continuamente sui soldi e sui ruoli di genere. Quando vengono invitati a una crociera di lusso su di un superyacht, in cambio della promozione sui social media, conoscono i ricchi ospiti a bordo: l’oligarca russo Dimitry (Zlatko Buric) e sua moglie Vera (Sunnyi Melles), l’anziana coppia Clementine (Amanda Walker) e Winston (Oliver Ford Davies) che ha fatto fortuna producendo armi, Therese (Iris Berben) una persona sulla sedia a rotelle che è in grado di parlare solo una frase in tedesco dopo un ictus e Jarmo (Henrik Dorsin), un milionario tecnologico solitario che flirta con Yaya. Gli ospiti si godono il lusso sullo yacht, incuranti dell’equipaggio che lavora per soddisfare ogni loro capriccio tra cui l’inflessibile capo del personale Paula (Vicki Berlin) e la donna delle pulizie Abigail (Dolly de Leon). Nel frattempo il capitano dello yacht, Thomas Smith (Woody Harrelson), passa il tempo ubriaco nella sua cabina fin quando, durante la cena di gala a lui dedicata, la nave si imbatte in una tempesta che la fa naufragare. I pochi superstiti, inclusi Carla e Yaya, si ritrovano perciò su di un’isola deserta dove dovranno imparare a sopravvivere mettendo così da parte i privilegi o gli svantaggi delle loro vite precedenti.
Un gioco al massacro
Se The Square prendeva di mira il mondo dell’arte mentre Forza maggiore indagava sui rapporti di forza e fedeltà all’interno di un matrimonio, Triangle of Sadness sembra cominciare con un attacco diretto nei confronti dell’industria da moda ma l’equivoco dura poco. È infatti in una scena successiva, quella in cui Carl e Yaya sono al ristorante e litigano su chi debba pagare il conto, l’espressione del tema del nuovo film di Östlund. Il battibecco tra i due giovani fidanzati è ben scritto e tagliente, mette in luce le ipocrisie sia dell’una che dell’altra parte e serve come commento sferzante alla questione sia delle disparità economiche e sociali che dei ruoli di genere. Questo discorso che Östlund porta avanti per quasi 150 eccessivi minuti tocca il suo apice nel secondo atto, quando i due fidanzatini partecipano ad un’esclusiva crociera per super ricchi e ci viene presentata la “fauna” che popola la nave. Una giungla fatta di coppie anziane che sorridono sempre ma che si sono arricchite producendo mine antiuomo e granate, di magnati della tecnologia ricchissimi e altrettanto soli, di persone per niente in grado sia di comunicare (cioè di farsi comprendere) e sia di recepire la comunicazione altrui (cioè di comprendere gli altri). Una metafora talmente cristallina da apparire al di vero un po’ troppo untuosa e facilotta, ma Triangle of Sadness vuol essere prima di tutto un gioco al massacro in cui nessuno viene davvero risparmiato.
Un acido non molto corrosivo
Peccato però che Östlund allunghi decisamente toppo il bordo, concedendosi un lungo terzo atto finale su di un’isola in teoria sperduta in cui i paradigmi sociali vengono (indovinate un po’?) rovesciati. Ed ecco che allora Triangle of Sadness perde un po’ di quella corrosività che aveva fatto ben sperare nei precedenti due atti, sostanzialmente ribadendo fino alla nausea concetti già espressi senza più trovare né una forma espressiva e né una visione del tema meno parziali e scontate. Ed è un po’ una disdetta che il film non riesca a contenere la sua fluvialità e il suo parossismo, soprattutto dopo una sequenza come quella del naufragio tanto destabilizzante quanto immensamente divertente. Una sequenza scatologica in cui sono vomito e altri fluidi corporei i veri protagonisti che sgorgano dai gabinetti, invadendo i corridoi di una nave ormai in stato di affondamento come un’ultima, disgustosa provocazione mentre appena prima, nel salone del pranzo, si parlava di capitalismo, di socialismo e di fine del sogno comunista. Un dialogo a due tra il capitano Smith e l’oligarca Dimitry, ubriachissimi ed entrambi sull’orlo dell’abisso, un momento di cinema talmente surreale e lucido allo stesso tempo da far quasi sperare in una chiusura secca, improvvisa.
Si parlava prima per l’appunto di lotta di classe e di come Triangle of Sadness porti i suoi protagonisti dal lusso alla miseria, da un ambiente protetto e servile ad uno selvaggio e allo stato brado dove tutte le differenze economiche si annullano giocoforza. Nonostante un plot twist che apparentemente potrebbe ribaltare ancora una volta lo stato delle cose, e nonostante un climax finale volutamente ambiguo, il film è molto netto nell’affermazione di come i suoi ricchi siano profondamente stupidi e incapaci di stare al mondo, ma anche di come il potere sia una sorta di virus in grado di infettare chiunque e di modificare la nostra stessa percezione dello status quo attraverso un semplice cambio di dinamiche esterne alieno alla nostra volontà. E allora dei semplici salatini o dell’acqua diventano una miniera di scambio preziosissima, che può fare la differenza tra controllo e anarchia.
Lungo, a tratti esilarante, ben recitato (Harrelson, Zlatko Buric Dolly de Leon e la compianta Charlbi Dean su tutti), a tratti irritante e con almeno un paio di sequenze memorabili, Triangle of Sadness è un po’ la summa eccessiva e derivativa del cinema di Östlund. Un cinema che non si vergogna certo di osare, di andare anche oltre e di essere squisitamente populista in certi passaggi, ma anche capace di grandi lampi e di dolorosi tonfi. Un po’ la vita o come una crociera, se preferite. Si sale e si scende, si sta a galla ma si può anche affondare.
Triangle of Sadness. Regia di Ruben Östlund con Harris Dickinson, Charlbi Dean, Zlatko Buric, Woody Harrelson e Dolly de Leon, uscito nei cinema il 27 ottobre e ancora disponibile in alcune sale distribuito da Teodora Film.
Tre stelle e mezzo