Dalla Festa del Cinema di Roma la nostra recensione di Un amor, film in concorso di Isabel Coixet tratto dall’omonimo romanzo di Sara Mesa: un finale impattante non può salvare un’opera glaciale e impersonale
In concorso nella sezione Progressive Cinema alla diciottesima Festa del Cinema di Roma arriva il primo film spagnolo di quest’edizione, Un amor. Tratto dall’omonimo romanzo della scrittrice e poetessa Sara Mesa e diretto dalla regista di Le cose che non ti ho mai detto e La vita segreta delle parole Isabel Coixet, è il racconto molto algido quasi fino alla fine di un amore che lentamente si autodistrugge, e di un’intera comunità che si rivolta contro una donna sola. L’esplosione finale è sacrosanta, ma non basta.
Storia di un amore
Nat(Laia Costa) è una traduttrice che ogni giorno si ritrova a tradurre racconti tragici e terribili di donne immigrate. A causa del forte e costante stress che vive nel suo lavoro, la donna decide di lasciare tutto e trasferirsi a La Escapa, un piccolo paese nella Spagna rurale. La casa che ha trovato è messa davvero male e il proprietario è aggressivo, i vicini sono persone sospettose e gli uomini della zona sono tutti corteggiatori molesti. Fra loro c’è anche Andreas (Hovik Keuchkerian), il suo vicino di casa, un uomo che le offre il suo aiuto per riparare il tetto in cambio di sesso. Nat, che vive con una cagna semirandagia, cercherà di resistere ma ben presto comincerà un gioco di passione ossessiva.
Autopsia di una relazione
Cosa rimane dei cocci di una relazione che si è autodistrutta perché, semplicemente, non avrebbe mai potuto funzionare? Un amor non si concentra tanto sulla risposta a questa domanda ma sulla domanda stessa, nel senso che ci mostra l’evolversi di questa relazione che nasce, si alimenta e muore. Lo fa con un taglio gelido e chirurgico, che non si lascia trascinare dalle emozioni o dai sentimenti in gioco, bensì li annulla quasi completamente a vantaggio di uno sguardo arido sia sull’universo maschile che su quello femminile.
Perché se gli uomini in Un amor sono dipinti tutti come degli approfittatori, dei perversi e degli stronzi, le donne non se la passano molto meglio. Nat è superficiale ed egoista, non indolente rispetto alle tragedia altrui ma incapace di dare loro il giusto peso, e questo suo atteggiamento non contribuisce a renderla particolarmente amabile agli occhi dello spettatore. Sembra quasi che la regista Isabel Coixet abbia lavorato di finta sottrazione, accumulando in realtà tutta la frustrazione e l’acredine nel personaggio di Nat fino a farle detonare in un finale a suo modo memorabile. La regista spagnola perciò apre e chiude il cadavere della relazione tra Nat e il tedesco con un bisturi affilatissimo, ma dimentica il cuore.
Una donna sola
È però la solitudine sempre più marcata che Nat sperimenta a rappresentare il più grande ostacolo esterno di questa storia. Sin dall’inizio del film vediamo come nessuno degli uomini con cui viene in contatto la tratti con il giusto rispetto o la giusta considerazione, anzi la accusano di essere troppo lamentosa, non adatta alla vita di campagna o troppo viziata. Non che non abbiano ragione, in parte, ma è chiaro come la loro accoglienza tutt’altro che calorosa spinga Nat a sentirsi sempre più isolata ed esclusa, trovando perciò conforto fra le braccia dell’unico uomo che sembra trattarla con le giuste maniere apprezzandone anche le spigolature caratteriali.
E forse non è neanche un caso che Nat di mestiere faccia l’interprete, cioè che debba preoccuparsi di far coincidere e avvicinare mondi, lingue e culture diverse affinché si incontrino, si capiscano, provino a dialogare fra loro. Esattamente quindi il contrario di ciò che avviene sullo schermo, ed è su questo elemento che Un amor avrebbe dovuto insistere con maggior convinzione. Quando invece torniamo ad esplorare i meandri della relazione tra Nat e il tedesco il film si chiude nelle sue stesse spire, assume un passo pesante e ampolloso e lascia il conflitto esterno e ambientale troppo sullo sfondo.
Poi, finalmente, arriva quel finale liberatorio e irruente che spazza via le macerie di ciò che è stato ma che, soprattutto, abbatte ogni tipo di ipocrisia e perbenismo lasciando fluire la rabbia e l’amarezza. Arriva però troppo tardi per salvare un’opera con poco cuore e poco stomaco, più rarefatta ed elegante che sanguinosa e dolorosa, più preoccupata di indagare l’amore che di mostrarlo. Ecco perché quel finale sembra quasi provenire da un altro film, da un’altra regista, da un’altra storia: Laia Costa è brava nel tenere a galla sua Nat, ma è una barca destinata ad imbarcare acqua.
TITOLO | Un amor |
REGIA | Isabel Coixet |
ATTORI | Laia Costa e Hovik Keuchkerian |
USCITA | prossimamente |
DISTRIBUZIONE | n.d. |
Due stelle