La nostra recensione di Una femmina di Francesco Costabile, feroce tragedia che mette in scena lo scontro tra una femminilità impetuosa e le logiche oppressive della ‘Ndrangheta, presentato alla Berlinale 72
Ė velato di nero, come la sua protagonista, il battesimo di fuoco del regista esordiente Francesco Costabile. Una femmina, liberamente tratto dal romanzo d’inchiesta Fimmine Ribelli di Lirio Abbate (co-autore del soggetto insieme ad Edoardo De Angelis), è stato presentato nella sezione Panorama del Festival di Berlino 2022. Una storia di fantasmi del passato che continuano ad infestare inesorabilmente il presente, di brama di vendetta, di rabbia violenta e desiderio di libertà. Una tragedia furiosa che, ispirandosi a fatti realmente accaduti, mette in scena lo scontro violento tra una femminilità impetuosa e le logiche asfissianti della ‘Ndrangheta calabrese.
Il destino di Rosa
Turbata dal mistero che avvolge la tragica morte di sua madre, Rosa (Lina Siciliano) vive in un paesino montano della Calabria con l’ambigua nonna Berta (Anna Maria De Luca) e l’autoritario zio Salvatore (Fabrizio Ferracane). Ragazza inquieta, è soffocata dal regime omertoso e violento che regna nel suo contesto sociale, a partire dalla sua famiglia. Una femminilità ribelle, però, non può essere vista di buon occhio dalla criminalità organizzata locale, che la ragazza scopre invischiata nella scomparsa della madre. Desiderosa di vendetta, Rosa farà i conti con un destino che pare segnato e, consapevole dei rischi, affronterà a viso aperto la ‘Ndrangheta.
Ardore femminile
Ha il volto conturbante dell’esordiente Lina Siciliano la giovane donna protagonista di Una femmina. Nel suo sguardo accigliato alberga uno spirito indomito, un rovente fuoco primordiale destinato ad incendiare i santuari del potere mafioso. (Anti)eroina tragica da manuale, Rosa si riappropria del suo essere donna e tenta titanicamente di sconquassare uno status quo che la vorrebbe imbavagliata dama da compagnia. Squarcia il velo del silenzio. Da pedina sacrificabile di una partita a scacchi orchestrata dal patriarcato diventa alfiere di un ancestrale desiderio di libertà. E nel suo farsi emblema universale di una femminilità travolgente diventa vittima della sua stessa potenza. Perché sta qui il vero passo falso di Una femmina, nel calcare troppo la mano sulla caratterizzazione archetipica dei suoi personaggi che rischiano di mutarsi (soprattutto nella sbrigativa parte finale del film) negli attanti di un confuso melodramma.
Una tragedia rovente
Anche a livello tecnico Una femmina è sempre in bilico tra la messa in scena di una rovente tragedia e derive melodrammatiche che ne intaccano l’efficacia. La tetra fotografia, l’angoscia che trascolora dall’intensa colonna sonora e la stessa virtuosistica regia rischiano di caricare eccessivamente di pathos una storia che, da sola, arde di una drammaticità esemplare. Nonostante questo la maniera in cui la macchina da presa vaga per gli anfratti e i vicoli dei paesini montani calabresi e la scelta (quasi obbligata) di far esprimere i personaggi nel dialetto locale dona alla messa in scena un senso di tangibilità estrema e, al tempo stesso, contribuisce ad accrescere il costante senso di inquietudine, marchio potente di questa pellicola.
Rabbia e orrore bestiale, dolore e rinascita: Una femmina è il tragico ritratto di un mondo in cui l’oppressione e la violenza regnano sovrani. Un film coraggioso che, anche nei suoi eccessi, si dimostra di apprezzabile valore.
3 stelle