Conferenza stampa di presentazione de Il primo uomo di Damien Chazelle, film d’apertura di Venezia 75. Ecco cosa hanno raccontato Chazelle, Ryan Gosling, Claire Foy e gli altri..
Il primo uomo di Damien Chazelle ha ufficialmente aperto la 75ª Mostra del Cinema di Venezia. Nella conferenza stampa di presentazione, assieme al talentuoso regista di La La Land, anche i protagonisti Ryan Gosling e Claire Foy, gli attori Jason Clarke e Olivia Hamilton, e il produttore Josh Singer. Il film uscirà al cinema il 31 ottobre distribuito dalla Universal Pictures. Ecco cosa hanno raccontato, mentre questa è la nostra recensione.
Ho una domanda per Damien, non eri nemmeno nato quando è iniziata la corsa allo spazio, quindi perché hai deciso questo soggetto? Per Ryan invece, ecco il tuo ruolo è quello di un uomo molto reticente che fa fatica ad esprimere i propri sentimenti, avrà guardato film di Gary Cooper, quindi un tipo forte e silenzioso, forse questo ha influenzato in qualche modo il personaggio?
Damien Chazelle: per quanto riguarda me personalmente e la mia generazione, noi siamo cresciuti con delle immagini molto iconiche e quindi c’è sempre parso che fosse tutto molto semplice e diamo un pò per scontato che si sia andati nello spazio. Più imparavo più mi affascinava e quindi ho deciso di entrare piano piano nella storia. Ecco ovviamente ho dovuto capire il processo come è iniziato, come è proceduto e si è evoluto e quindi ho voluto raccontare questa storia.
Ryan Gosling: salve, per quanto riguarda i riferimenti per Neil ho avuto tantissimo aiuto dai suoi figli; l’opportunità che ho avuto di conoscere la sua ex moglie Janet Armstrong, ho parlato con le persone che lo conoscevano dall’infanzia, anche la NASA ci ha aperto le porte e ha parlato con noi, ho frequentato ovviamente il museo di Neil Armstrong e poi il libro fantastico di Hansen che è una ricerca in realtà, un libro lunghissimo e quindi ho ricevuto tantissimo aiuto, ho avuto tantissime risorse su cui appoggiarmi. Ecco mi mancava il riferimento a Gary Cooper, perché non me l’hai detto un anno fa? Adesso ormai è troppo tardi. Ecco sì, questi sono i riferimenti, le risorse principali che ho utilizzato. E’ risaputo che Neil era una persona molto umile, molto reticente, e quindi la sfida era proprio quella di rispettare questa parte del suo carattere, però creare le finestre di apertura e quindi far vedere che cosa di fatto sentiva, quali erano le sue emozioni, e ovviamente è stato fantastico lavorare con degli attori eccellenti che mi hanno consentito di creare l’atmosfera giusta per questo personaggio.
La maggior parte dei ragazzini vuole diventare un astronauta, una roba figa.. molte persone non arriveranno nello spazio, ma voi ci siete arrivati col cinema. Quali sono state le sfide per creare questa atmosfera, e ad un certo punto è mai stata un’esperienza quasi surreale per voi?
Jason Clarke: sensazione di claustrofobia a volte, Damien ha creato delle vere e proprie capsule che erano molto realistiche e ad un certo punto stavo per avere un esaurimento perchè stato veramente difficile farsi chiudere in una tuta spaziale, in una capsula chiusa.. e quindi un grosso problema è stata la sensazione di claustrofobia e poi ovviamente il fatto che sai che tutti sono fuori e che si aspettino che tu faccia il tuo ruolo.
Com’è stata l’esperienza di vivere la vita di un astronauta?
Ryan: innanzitutto mentre mi preparavo per questo personaggio ho pensato che era molto importante imparare a volare, ecco la battuta ”imparate a guidare prima di volare” era molto importante, perché ho dovuto veramente capire l’abc del volo, capire che cosa succede. Ho capito studiando il suo personaggio il motivo per cui lui è diventato un grande astronauta e io no. L’astronauta è una persona che consapevolmente entra in un aereo che non ha mai volato prima, lo porta al punto di rottura solo ed esclusivamente per fare un passo in avanti nella tecnologia aeronautica. E’ una razza diversa di persone, sono delle persone molto speciali e ho dovuto riconoscere questa differenza per poter fare il suo personaggio.
Ho una domanda sulla claustrofobia per Damien, quando vediamo i film sul viaggio nello spazio è sempre un racconto molto romanzato e l’immagine di fatto è che sia un’esperienza molto piacevole e di fatto anche noi spettatori sentiamo questo disagio, questa chiusura, questa claustrofobia.
Damien: sì, questo in qualche modo è il risultato del fatto che io ho veramente visto alcune di queste navicelle spaziali: andando nei musei ho visto alcune capsule e mi sono reso conto di quanto erano piccole e quindi da molto presto mi sono reso conto leggendo poi sul programma spaziale ed informandomi sul viaggio nello spazio, ho cercato di rendere fruibile, in qualche modo di far sentire la sensazione di essere nello spazio.. ecco lo spazio è questo vuoto nero e tu sei lì che viaggi, cerchi un luogo dove atterrare e cerchi qualche cosa in questa distesa molto grande e per di più si è in una lattina volante e quindi una sensazione che per me è terrificante e che in qualche modo suscita ancora più fascino quello che fanno gli astronauti, ed è proprio questo quello che volevo comunicare nel mio film.
Ho una domanda per Damien, Steven Spielberg è uno dei produttori di questo film e la sua presenza si sente; mi chiedo come è entrato nella produzione, qual è stato il suo input e come è stato lavorare con Spielberg.
Damien: è entrato nel progetto attraverso Josh che lavorava con cui al suo film precedente, The Post, e quindi è diventato uno dei co-finanziatori del film dopo che si è unita l’Universal per finanziarlo. E’ la prima volta che ho avuto contatti con Steven, avevo già lavorato con Josh e sono cresciuto con i film di Spielberg. Abbiamo parlato molto del cinema in generale, e poter farlo con lui è stato un dono, non serve che lo dica. E’ saltato a bordo, diciamo, come finanziatore con la sua società e quando ci serviva abbiamo chiesto aiuto perché è una persona eccezionale da avere accanto a noi per così dire.
La mia domanda per Damien, in una delle scene più belle del film i due figli di Neil reagiscono in maniera opposta alla vigilia della partenza, uno lo abbraccia e l’altro invece gli stringe la mano, con un atto di timore reverenziale. Questi due aspetti, che nel film sono molto ben bilanciati, come li avete gestiti, cioè in voi ha prevalso più l’adesione a questa figura paterna, in maniera quasi fanciullesca, oppure avete sentito un po’ il peso di questo timore reverenziale.. quale è stato l’equilibrio che avete cercato?
Damien: Ci sono stati dei momenti in cui dovevamo girare questa scena con i due figli, ci sono state diverse evoluzioni, abbiamo trovato nella ricerca che Janet, la moglie ha costretto Neil prima della missione a sedersi e a parlare con i suoi figli su cosa sarebbe successo, una cosa che lui aveva rimandato. La cosa particolare della conversazione, siamo andati avanti e indietro a parlarne, era importante come far evolvere la scena, come affrontarla dal punto di vista dei due figli e non siamo riusciti ad avere quello che volevamo fino all’ultimo minuto. C’è un figlio più grande e uno più piccolo, uno dei due era abbastanza grande, Rick, da capire il costo che questa missione avrebbe significato per lui, per la famiglia, per Janet, mentre Mark era forse troppo piccolo, troppo giovane per capire del tutto, quindi si può vedere la reazione diversa dei figli da un punto di vista diverso. Pensiamo molto a Neil che va sulla Luna, ma è altrettanto importante pensare alle persone che ha lasciato sulla terra ad aspettarlo.
Domanda per Ryan Gosling, il rapporto di lavoro con Damien è stato eccellente e lo è stato anche in episodi passati in cui ha lavorato con altri registi, quindi che cosa cerca lei in un regista?
Ryan: i capelli devono essere belli (risate) e Damien è per metà canadese e questo aiuta.. boh non so in verità… ecco lavorando con Damien e parliamo di questo, ci siamo incontrati per parlare di questo film; lui aveva la necessità di fare un musical prima di cominciare questo film, aveva i due film nella testa contemporaneamente ed entrambi sono film che si prestano per il grande schermo, sono film che tutti noi vogliamo vivere in un cinema. Credo che Damien abbia un istinto molto forte, non solo per quello che il pubblico vuole vedere, ma vuole anche unire le persone attraverso il cinema; e questa è una storia incredibile, molto complessa e anche le opinioni riguardo questo film sono complesse. Però in un certo momento Armstrong ha unito il mondo e questo fatto ha in qualche modo unito le persone, facendo sì che questo fosse un successo per tutta l’umanità. E la capacita di Damien di seguire il suo istinto, di volere unire le persone attraverso il cinema, e di trasferire il suo amore per il cinema al pubblico è una qualità molto speciale, che lui ha e che mette in tutto il suo lavoro da regista.
Credo sia il momento giusto per presentare il coinvolgimento della famiglia di Armstrong e vorrei chiedere a Josh Singer che ha lavorato a stretto contatto con loro, quanto siano stati necessari nel fornire la realtà che il film presenta a proposito della vita familiare degli Armstrong, Josh vuoi dire qualcosa?
Josh Singer: sì, ci hanno aiutato tanto e ci serviva veramente; ci hanno dato dettagli, come funzionava non solo sulla parte tecnica, ma anche per capire chi fosse Neil e Jim Hansen aveva fatto un lavoro straordinario nel suo libro, ma noi siamo andati ancora più a fondo: abbiamo cominciato a parlare due anni fa a Cincinnati, ci siamo incontrati con Janet e con Mark e Rick, abbiamo dato loro una copia della sceneggiatura, una volta che avevamo la sceneggiatura pronta e abbiamo fatto veder loro il film prima e gli abbiamo chiesto di fare delle annotazioni. Qualcuno che li conosceva bene gli ha chiesto di darci qualsiasi particolare che potesse rappresentare Neil Armstrong come uomo e non come l’icona che tutti conosciamo e fortunatamente dalle persone reali abbiamo avuto informazioni utili, Olivia ha parlato con i figli di un’altro astronauta.
Olivia Hamilton: abbiamo condiviso gran parte della storia del loro genitore, ci ha parlato anche Jason, ed è stato insostituibile l’aiuto che mi è stato dato per capire il personaggio che avrei dovuto interpretare, perché tutti avevamo il ritratto eroico dell’astronauta mentre il coinvolgimento della famiglia era qualcosa di più difficile da raggiungere.
Claire Foy: quello su cui volevo concentrarmi, pensando a chi avrebbe visto il film, è che vedeva dei genitori.. vogliamo onorare il modo in cui i figli vedevano padre e madre. Il padre non era un astronauta per loro, era il loro papà, e abbiamo chiesto loro se si ricordassero chi raccontasse loro le favole le sera, chi gli facesse il bagno, chi giocava di più con loro, chi facesse il poliziotto cattivo e chi quello buono in famiglia, perché volevamo essere rispettosi nei loro confronti. Il nostro compito era trasmettere l’emozione e non riesco ad immaginare di essere una persona di cui qualcuno vuole raccontare la storia, ma sono stati così gentili con noi, così generosi.. ce l’hanno veramente consegnata nelle mani, non sono stati gelosi nel trattenere per sé i particolari.
Domanda per Damien, la storia di Armstrong è anche un po’ quella dell’esplorazione e del superamento dei limiti dell’uomo, volevo capire se dopo il successo travolgente di Whiplash e di La La Land c’è stato un momento per lei a livello personale in cui ha riflettuto, si è isolato un po’ come fa il personaggio di Ryan Gosling, cercando anche una consapevolezza maggiore pensando anche al suo cinema visto che comunque questo film è una virata diversa forse più matura e forse più consapevole. Volevo capire se questo film è anche una risposta personale a quello che è lei come artista, se dopo questi grandi successi c’è stato un momento in cui si è preso il tempo per capire in effetti dove poter guardare oltre e cosa poteva raccontare ancora.
Damien: in qualche modo non credo di aver avuto il tempo per farlo, spero di averlo presto e credo che in qualche modo sia un sottoprodotto del fatto che questa storia non è la mia; tutti i film che ho fatto precedentemente trattavano di esperienze mie personali, invece in questo caso parliamo di esperienze che tutti noi conosciamo, che tutti noi condividiamo, però nessuno di noi è stato sulla Luna o nello spazio, nessuno di noi c’era già negli anni ’70, e quindi tutte queste cose non mi erano familiari e ho dovuto cercare delle modalità per creare una relazione con tutto quello di cui lei sta parlando, e poi credo che in Neil ci siano state tante qualità, era una persona che si immedesimava nel suo lavoro e forse lo utilizzava per controllare dei sentimenti che non riusciva a gestire altrimenti. Ci sono aspetti come questi che forse sono riuscito a capire a livello personale, ma poi ci sono tantissimi livelli su cui invece questa non è una mia esperienza e quindi è un modo per mettersi nei panni di qualcun’altro, capire la vita di qualcun’altro, cercando però di creare una storia molto personale. Noi avevamo l’obiettivo di creare un film che fosse quasi un documentario familiare, «toh guarda, papà sta andando sulla Luna» questa è la nostra intenzione.
Domanda per Damien, ho trovato sorprendente il modo in cui avete lavorato sul suono, forse è una domanda un po’ noiosa, per lo spettatore è molto importante il suono, che ho trovato sorprendente..
Damien: per quanto riguarda i piccoli dettagli abbiamo avuto a disposizione un team che ha utilizzato di fatto il casco di Armstrong, quindi tutto quello che voi sentite, come il respiro dell’astronauta, è stato frutto di registrazionisul casco realmente utilizzato dall’astronauta così come anche le tute indossate sono state vere ed è sorprendente che esistano ancora queste tute e questi caschi. Per quanto mi riguarda, credo sia meglio utilizzare gli originali piuttosto che ricreare un’imitazione perché il suono e l’immagine che danno è sempre meglio. Abbiamo cercato di discutere come creare al meglio il suono e poi abbiamo cominciato a capire dove migliorare, dove variare, ci sono degli elementi molto stilizzati nel film di sicuro, cose che sicuramente gli astronauti non avrebbero sentito. Cose che abbiamo utilizzato invece per raccontare il film, come il suono della navicella spaziale, però abbiamo avuto un team del suono veramente molto bravo.
Per il regista, l’ultimo pezzo quando Neil Armstrong, pensa alla sua famiglia a casa immagino che sia finzione, ma vorrei che voi mi diceste se è finzione oppure no e se lo è come è giustificata averla aggiunta nel film? Domanda per Ryan, fino a che punto il tuo personaggio è un eroe americano, il fatto della bandiera ad esempio, è un film patriottico in qualche modo o avete cercato di ridurre un po’ il patriottismo?
Josh: non è del tutto finzione, e quello che intendo e che Jim Hansen ci suggerisce nel suo libro che Neil parlando con sua sorella June diceva «questa è una cosa che mi sarebbe piaciuta fosse successa», quindi non abbiamo le prove che sia realmente successo, la stessa June ci ha ispirati e ci ha fatto pensare che questo potesse essere realmente successo.
Ryan: io sono canadese intanto, vorrei fare questa premessa.. ma credo che questo sia un successo dell’umanità e abbiamo voluto vedere il film in questo modo, e forse Damien che è per metà canadese potrebbe spiegare un pochino meglio quello che sto cercando di dirvi, e credo anche che Neil fosse una persona estremamente umile, così come lo sono altri astronauti, e volta dopo volta ha spostato l’attenzione da sée stesso alle 400 persone che hanno reso possibile la missione, rendendo chiaro il fatto che lui era soltanto la punta dell’iceberg. Non credo che si vedesse come un eroe americano, altri lo avranno visto come tale, ma nelle interviste che ho fatto con la famiglia, lui non era per niente il tipico eroe americano e noi volevamo riflettere l’immagine di Neil quindi, molte delle scelte che abbiamo fatto come quelle descritte, sono state fatte per rendere omaggio a Neil, alla sua vita di Neil e al modo in cui lui si presentava.